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Ricco di suggestione è il luogo dove sorge la chiesa di San Filippo e San Giacomo a cui fanno corona l’alto campanile, la cappella di Sant’Antonio ed il cimitero. Un muro di cinta racchiude ed isola, in una perfetta cornice, tutto il complesso religioso.

La chiesa è tra le più antiche del decanato di Ossana e risale certamente al XIII secolo. Fu ricostruita nel 1322, come ricorda l’epigrafe posta sulla parete settentrionale, dotata di indulgenze ed arricchita di reliquie che furono collocate nella piccola edicola, posta anch’essa sulla parete settentrionale. Fu poi rimaneggiata nel 1400 (ampliata secondo il Weber nel 1450), consacrata nel 1497 insieme a tre altari e riconsacrata nel 1558. N. Rasmo riferisce che in quegli anni lavorò nella chiesa Maestro Adamo di Maestro Giacomo da Laino D’Intelvi, muratore e lapicida. Un’iscrizione e la data 1588, scolpite su uno scudetto della volta, testimoniano che la chiesa fu allora voltata.

Nel 1616 i visitatori prescrissero di imbiancare e rinfrescare le pitture che decoravano le pareti e consigliarono d’allungare la chiesa, ritendendola troppo piccola per contenere l’aumentata popolazione. Fortemente danneggiata, all’inizio del 1800, da un incendio che distrusse gran parte del paese, fu risistemata con l’aiuto della confraternita dei Disciplini che cedette, a beneficio della chiesa, tutti i suoi beni. Fu nuovamente ripristinata e decorata nel 1933. Furono eseguiti, tra il 1979 e il 1980, interventi da parte della Provincia Autonoma di Trento che interessarono il consolidamento architettonico ed il restauro degli affreschi, sia interni che esterni, che decorano la chiesa.

La facciata principale è a capanna, scandita da lesene in muratura e da una fascia orizzontale che, insieme al profilo del tetto asimmetrico, mettono in evidenza il corpo dell’archivio aggiunto posteriormente. Al centro si apre un semplice portale in pietra locale, affiancato da due aperture rettangolari e sormontato da una finestra dai profili mistilinei che delimitano un foro a forma di croce. Recenti sondaggi hanno messo in luce brani di affresco; ciò fa supporre che tale facciata fosse originariamente dipinta. La differente pendenza del tetto evidenzia chiaramente il volume della navata, rispetto a quello poligonale del presbiterio. Un piccolo corpo di fabbrica collega il lato settentrionale della chiesa con lo slanciato campanile, coperto da una cuspide di rame. Questo mostra sulla facciata rivolta a nord ciò che rimane di un affresco con un gigantesco San Cristoforo, databile intorno al 1370-80 ed attribuito ad un pittore vagante di formazione provinciale giottesca. Presenta una fitta martellinatura, resasi necessaria per l’ancoraggio di un ulteriore affresco, raffigurante sempre San Cristoforo, attribuito, come riferisce il Weber, a Giovanni Angelo Vallorsa. Una scritta frammentaria traduce la credenza popolare secondo la quale chiunque guardasse l’immagine del santo non sarebbe stato colpito da malore durante tutto il giorno. Ciò spiega l’usanza, ampiamente testimoniata in valle, di rappresentare l’immagine del santo in posizione ben visibile ed in dimensioni gigantesche sulle pareti delle chiese o dei campanili.

Degna del massimo interesse è la facciata settentrionale, rivolta sull’ampia area destinata originariamente a cimitero. Addossata ad essa vi è la piccola edicola, costruita per contenere l’urna delle reliquie dei Santi Filippo, Giacomo, Antonio e Caterina, prima che fossero riposte entro la chiesa. L’edicola fu, secondo N. Rasmo, ritenuta erroneamente romanica, mentre è da attribuirsi alle maestranze lombarde che operarono in valle alla fine del XV secolo. Il piccolo organismo esprime, nella sua forma e nell’apparato decorativo, il permanere di motivi di gusto romanico gotico in un’opera che già risponde ai richiami rinascimentali; realizzato in pietra di colore bruno-violetto, presenta tracce di colore e ricorda nella forma i portali. I piedritti sono lavorati a specchio e decorati a rilievo con tralci e grappoli di vite; su di essi appoggiano singolari capitelli ionici; sull’archivolto dell’arco a tutto sesto foglioline stilizzate di trifoglio si dispongono tra archetti che si intrecciano e si susseguono. Una semplice cornice riquadra l’edicola e definisce due superfici triangolari ai lati dell’arco, decorate con piccole coppe ed esili ramoscelli. Sopra la cornice è posto, tra due grosse ghiande, un fastigio che reca scolpita una mano benedicente ed il monogramma di Cristo. Gli affreschi interni alla nicchia risalgono alla fine del ‘400: nella lunetta è dipinta la Pietà tra figure di santi, sull’intradosso dell’arco sono raffigurate le immagini di due santi. A sinistra dell’edicola un’iscrizione, parzialmente letta dal Weber, ricorda il trasporto delle reliquie all’interno della chiesa.

Il resto della parete è coperto da un ciclo di affreschi eseguiti nel 1643 da Giovanni Angelo Vallorsa da Grosio in Valtellina, discendente di Cipriano Vallorsa che realizzò l’affresco dei Disciplini in Santa Maria a Pellizzano. Le raffigurazioni sono inserite in riquadri definiti da cornici dipinte e collocate su due ordini sovrapposti. Nel registro superiore sono raffigurati al centro un’ultima Cena, a destra la scena della Flagellazione e a sinistra Cristo sulla croce con ai piedi Maria e Giovanni; nel registro inferiore, iniziando da sinistra, la traccia di un precedente affresco, poi un angelo indicante l’iscrizione sottostante, quindi una Risurrezione ed infine un grande riquadro raffigurante Cristo e il Cireneo sulla via del Calvario, lungo la quale l’artista si è rappresentato nell’atto di reggere un grande cartello con la scritta: “IOANNNES ANGELVS VALORSA GROSIENSIS VALISTELINE PINXIT 1643”. Alle due estremità della scena vi sono: a sinistra Santa Caterina reggente la ruota e sullo sfondo il suo martirio; a destra una monaca con alla spalle un paesaggio. Compaiono gli stemmi delle famiglie Migazzi e Mayr che commissionarono l’affresco. Dopo una porta che introduce alla loggia interna, vi è un ultimo riquadro con Santa Barbara reggente una voluminosa torre. Sotto la cornice inferiore, sporgono tracce di un affresco precedente con teste di santi separate da motivi ornamentali di gusto rinascimentale, attribuiti ad un ottimo pittore della famiglia dei Baschenis che lo realizzò verso la fine del ‘400.

L’interno è ad unica navata, suddivisa in due campate coperte da volte sottolineate da un reticolo che si diparte da pilastri in muratura. Un arco santo a sesto acuto introduce al presbiterio ed all’abside poligonale. Sulla parete sinistra dell’aula è stato restaurato nel 1980 l’affresco rappresentante episodi della vita di Santa Caterina, disposti in riquadri sovrapposti e commentati da didascalie in dialetto. Gli affreschi furono danneggiati dalla costruzione delle volte e, successivamente, quando si addossò alla parete il pulpito, ora rimosso. Sotto l’affresco compaiono tracce di uno precedente. Il ciclo è opera di un artista della cerchia dei Baschenis che lo eseguì intorno alla fine del XV secolo.

Decorazioni poco appropriate a specchiature, colonne, pilastri, dipinti ad imitazione del marmo, e tralci di fiori furono eseguiti nel 1933 dal pittore Teodoro Fengler sulle altre pareti. Il Weber riferisce che nel 1725 la confraternita dei Disciplini contribuì alla spesa della decorazione interna, eseguita dal pittore Pietro Paolo Dalla Torre di Mezzana.

La chiesa possiede tre altari. Il maggiore, dedicato ai santi titolari (Filippo e Giacomo), è in marmo e conserva le portine del coro su cui poggiano le statue di San Giovanni Nepomuceno e San Vincenzo de Paoli, datate 1734. Sulla parete di fondo dell’abside è appesa la struttura della bella ancona, privata nel 1979 di gran parte delle sculture tardo-gotiche e di molte decorazioni secentesche. L’ancona, intagliata e dorata, è opera di Simone Lenner, che la realizzò nel 1629, come denuncia la data abilmente nascosta nel fregio. Essa costituiva uno degli esempi più significativi di rimpiego di resti di un trittico tardo-gotico in una struttura barocca. Fu riformata nel 1731 dallo scultore Vigilio Prati da Cles e nel 1902 fu pesantemente restaurata e ripulita da Giuseppe Obletter. L’altare laterale destro, dedicato a Sant’Antonio Abate, è in legno dipinto ad imitazione del marmo ed accoglie al centro una pregevole pala rappresentante una sacra conversazione, firmata Martino Teofilo Polacco e datata 1608. Il terzo altare, dedicato un tempo a Santa Caterina e dal 1610 alla Madonna del Rosario, è in legno intagliato e dorato, ma di nessun interesse.

La chiesa fu considerata, sin dall’inizio del precedente secolo, insufficiente a contenere l’aumentata popolazione dei fedeli. Si ritenne quindi opportuno dare inizio, nel 1970, alla costruzione di un nuovo edificio che custodisse l’antico fonte battesimale.

Cappella di Sant’Antonio - Cogolo

Attigua alla chiesa e al vecchio cimitero vi è la cappella di Sant’Antonio, consacrata nel 1527 in onore dei Santi Lorenzo e Rocco, ma detta di Sant’Antonio dopo che nel 1672 fu consacrato un altare dedicato a questo santo. Due colonne, murate agli angoli della facciata, indicano che la cappella originariamente era aperta. Sono riscontrabili analogie con le cappelle di San Valentino di Malè e di San Rocco di Cusiano. Attualmente il piccolo edificio è adibito a deposito o ripostiglio per suppellettili parrocchiali.

Cappella di Loreto – Cogolo

È legata ad una leggenda popolare secondo la quale tra le macerie, portate a valle, di un paese chiamato Plaza Montina, distrutto per una calamità naturale, sia stata trovata la Madonna Nera. La prima notizia riguardante la Cappella di Loreto risale al 1732, ma la costruzione è molto più antica.